Storie di vita vissuta

Lungo questo cammino speriamo di incontrare molte persone che vorranno condividere con Noi le Loro storie, esperienze dirette o indirette, emozioni vissute o riportate. 
Ecco uno spazio dedicato, delicato e accogliente.  


26.02.2021 da parte di M. e R.

Contavamo le settimane che ci separavano dal Santo Natale, immaginando la reazione dei nostri cari alla sorprendente notizia che avremmo comunicato loro: dopo tanto tempo, finalmente la famiglia si sarebbe allargata. La prospettiva era però destinata a mutare radicalmente alla dodicesima settimana di gestazione, allorchè il controllo ecografico evidenziò la presenza, nel feto, della plica nucale aumentata, indice di un incremento del rischio di anomalie genetiche.

Fino ad allora ci eravamo recati alle visite con il timore di scoprire che il cuore del bambino si fosse fermato: battito presente o battito assente, tertium non datur. L’ipotesi che il nostro bambino potesse essere vivo, ma non in perfette condizioni di salute, non aveva mai sfiorato la nostra mente neppure per un momento.

Ci venne riferito che per conoscere l’esito degli accertamenti, che in simili casi si rendevano necessari, avremmo dovuto attendere tre o quattro settimane: fummo assaliti dall’angoscia.

Il bambino che stava crescendo nel grembo materno avrebbe potuto essere affetto da patologie in grado di comprometterne il normale sviluppo e la qualità della vita, una volta venuto alla luce.

Eravamo pervasi da un senso di impotenza: l’esistenza di quella creatura e, di conseguenza, anche quella di noi genitori, avrebbe potuto essere contrassegnata per sempre dall’esperienza della sofferenza e della malattia.

Un’ostetrica e una dottoressa in servizio presso l’ospedale, comprendendo la nostra disperazione, ci suggerirono di contattare l’associazione “Nel segno di Matilde”, che si occupa di maternità difficili.

In un primo momento io e mio marito pensammo di dover cercare ciascuno nell’altro la forza di affrontare la situazione, ma già dopo un solo giorno ci rendemmo conto che non potevamo farcela.

Ci sentivamo non solo isolati, lontani dai nostri affetti, ma anche soli, intrappolati nella solitudine del nostro dolore, perchè ci rendevamo conto che nessun parente o amico - quand'anche si fosse trovato più vicino a noi - avrebbe potuto capire il profondo sconforto che ci attanagliava. Non cercavamo una inutile e fastidiosa altrui commiserazione, ma condivisione di una sofferenza infinita e devastante, che derivava dalla convinzione che la nostra creatura fosse malata: in cuor nostro faticavamo infatti a coltivare la speranza che gli esami potessero condurre alla conclusione opposta.

Ci siamo rivolti all’associazione e abbiamo trovato finalmente un po’ di sollievo e conforto: all’altro capo del telefono abbiamo udito le parole di una mamma che ci disse di comprendere quello che stavamo provando, avendolo sperimentato personalmente con Matilde.

Ha ascoltato pazientemente il nostro racconto di una gravidanza tanto desiderata, che non avevamo intenzione di interrompere, ma che non riuscivamo più a vivere con gioia.

Le abbiamo detto di ritenere che la vita fosse mistero, che non fosse opera nostra, che meritasse amore e rispetto e che porvi termine fosse un crimine; d’un tratto però non riuscivamo più ad avvertire la dimensione del miracolo, del dono, dello stupore, che avrebbe dovuto accompagnare l’attesa della nascita di un bambino.

A quella prima telefonata ne sono seguite molte altre: grazie alla mamma e al papà di Matilde non ci siamo sentiti abbandonati in un momento cruciale della nostra esistenza, in cui, già provati da tante avversità, abbiamo dovuto fare i conti con noi stessi e le nostre aspirazioni deluse, in cui abbiamo relativizzato tutto, in cui anche quel poco di buono che, con fatica e spirito di abnegazione, credevamo di aver costruito, come singoli e come coppia, ci era improvvisamente sembrato privo di senso e di valore.

Giunti alla quindicesima settimana di gravidanza, abbiamo avuto la conferma che la nostra creatura fosse malata; pressochè contemporaneamente il suo cuore aveva però cessato di battere.

Dobbiamo ringraziare di cuore i genitori di Matilde per averci aiutati e sostenuti con la generosità e l’autenticità della loro testimonianza, raccogliendo e accogliendo lo smarrimento e la disperazione di chi si trova ad affrontare una gravidanza complicata.